Vent’anni senza Fabrizio De Andrè

L’11 gennaio del 1999 a Milano il cuore di Fabrizio De Andrè smise di battere lasciando un grande vuoto nella musica italiana ma anche nel cuore di tutti noi. Fabrizio aveva 58 anni, vita breve ma che ha lasciato il segno. Mille progetti realizzati ma ancora altri mille da realizzare lasciati in sospeso troppo presto. Poeta, intellettuale, è stato ed è uno dei più grandi cantautori italiani. Faber ha lasciato qualcosa che non possiamo dimenticare e non dobbiamo dimenticare

Musica come scelta di vita

La musica per lui era naturale, un estensione del suo corpo come da lui stesso dichiarato: “Pensavo: è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra.” Durante l’infanzia conosce Paolo Villaggio che diverrà per lui un amico e un fratello maggiore.

“Io e Fabrizio eravamo, direi senza saperlo, due veri creativi e lo abbiamo poi dimostrato nella vita […] lui si comportava come me, cioè facevamo una vita dissennata, andavamo a caccia di amici terribili […] i nostri genitori erano terrificati da questo tipo di vita, non si faceva niente e si dormiva regolarmente sino alle due del pomeriggio”. Ha spiegato lo stesso Villaggio.

Nel 1961 De Andrè pubblicò il suo primo 45 giri contenente due brani, “Nuvole barocche” ed” E fu la notte”. Le sue non sono semplici canzoni, ma sono testi ricchi di verità. Fra il 1968 e il 1973 Faber, come amava chiamarlo Villaggio, per la predilezione per la Faber-Castell, oltre che per assonanza, iniziò il progetto dei concept album pubblicando “Tutti morimmo a stento”, al quale seguì “la buona novella”. La Buona Novella per Fabrizio era il suo disco migliore.

Lui non fu solo un cantautore molto apprezzato, ma lui e la sua musica furono il simbolo degli emarginati, degli indignati, delle vittime d’ingiustizia, dei più sfortunati, delle minoranze. Nelle canzoni trattava ogni aspetto della vita, il bruto e il bello dell’amore, la solitudine e anche la morte.

Segni Indelebili

La sua fu una vita difficile, che lo portò a superare i problemi di alcolismo e la paura di esibirsi dal vivo e ancora il rapimento nel 1979. Quell’anno lui e la sua compagna Dori Ghezzi furono rapiti dall’anonima sequestri sarda, che li liberò quattro mesi dopo dietro pagamento di riscatto. Questo evento segnò profondamente l’anima di De André, ma da grande uomo riuscì a perdonare i suoi carcerieri. “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai.” Affermò.

Lui non voleva essere alla moda, non lo è mai stato era attuale. In lui si fondono passato, presente e futuro in perfetta armonia. Non ha mai preteso di essere Qualcuno, lui Era … “Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante.”

Bocca di rosa, Il pescatore, La guerra di Piero, Via del Campo, Don Raffaé, Amore che vieni amore che vai, Il testamento di Tito, Amico fragile, Il suonatore Jones… Sono passati vent’anni eppure sembra non essersene mai andato. I suoi testi incredibilmente sempre attuali, specchio del nostro mondo e di noi stessi. Faber vive ancora nella nostra memoria e nei nostri cuori, non solo nel nostro ipod.