Cantastorie – Rino Gaetano, una voce fuori dal coro

Storie di cantastorie che non invecchiano mai e che mai ci stancheremo di raccontarvi.

Sanremo 1978. Sul palco dell’Ariston si presenta un eccentrico personaggio in frac e scarpe da tennis, con in testa una specie di cilindro da prestigiatore. Somiglia, in effetti, a un prestigiatore o a un teatrante che scandalizza e conquista il pubblico con la sua voce sgraziata, i balletti da pinguino e l’umorismo irriverente. “Qualcosa da dire sul festival, Gaetano?” “Certo! Io penso che Luigi Tenco dieci anni fa sia morto di noia.”

Questo sberleffo a Sanremo e alla sua schiera di suoi ospiti illustri – Patty Pravo, la Bertè, Cocciante e Fred Bongusto, ma anche Bonny Tyler e Grace Jones – sottintende una verità. Rino Gaetano, al festival, avrebbe preferito non presentarsi. Non con Gianna, almeno: una canzoncina che “non significa niente” e che, ironia della sorte, segnerà indelebilmente la sua carriera, cucendogli addosso i panni (troppo stretti) del giullare.

Rino Gaetano con il suo ukulele, Sanremo 1978

“Già quando cantavo al Folkstudio (locale romano dei suoi esordi, dove bazzicano anche Venditti e De Gregori) ero al centro di certe discussioni…” racconta in un’intervista. “Molti non volevano che io facessi i miei pezzi perché, dicevano, sembrava che volessi prendere in giro tutti”. Negli anni del cantautorato militante, di Guccini, di Storia di un impiegato – l’album più politico di De André – Rino Gaetano ha il coraggio di non schierarsi.

Una voce fuori dal coro (fin dal collegio: era troppo stonato!), un buffone, un qualunquista che fa rimare “il sessantotto” e “le P38” con “il prosciutto cotto”. Quello di Gianna, delle canzonette orecchiabili, del nonsense jannacciano per cui c’era spazio, magari, nel cabaret anni ’60, non di certo al tempo della lotta armata. Ma dietro alla faciloneria e alla vena surreale (ereditata dal teatro dell’assurdo di Ionesco) si nasconde una satira arguta che in molti – da Gabbani a Lo Stato Sociale – cercheranno di scimmiottare con tanta buona volontà e non altrettanto buon gusto e che, senza mai scadere nella retorica, denuncia le contraddizioni e dissacra i miti dell’Italia di quegli anni.

Dopo il successo di Ma il cielo è sempre più blu – una parata di personaggi meschini, inutili o grotteschi un po’ alla Quelli che e un ritornello dolceamaro, da commedia all’italiana – Gaetano vorrebbe approdare a Sanremo con un’altra “canzone senza fatti e soluzioni”: Nuntereggae più, bocciata dalla Rca perché troppo polemica. “Io non faccio comizi” sorride l’autore. “Questo è uno sfottò. Insomma, per me Nuntereggae più è la canzone più leggera che ho mai fatto.”

Ma lo sfottò non risparmia nessuno: personaggi televisivi – Maurizio Costanzo non apprezzerà – la famiglia Agnelli al completo, la nazionale di calcio, Raffaella Carrà, Guccini… “Pci, Psi, Pli, Pri, Dc”, la sfilza di acronimi ridotti a fonema di una democrazia corrotta e ipocrita persino nel linguaggio, invischiata nei suoi sofismi mentre “la gente che non c’ha l’acqua corrente” si barcamena. Non c’è scampo neanche per Gaetano, che diventa lui stesso un idolo da smitizzare: “Cieli blu? Nuntereggae più!”

Copertina dell’album Nuntereggae più, 1978

Dal successo sanremese, conquistato con la canzone sbagliata, Rino Gaetano non si riprenderà mai: il tempo non gli basterà a liberarsi dallo stereotipo di se stesso. La notte del 2 giugno 1981 muore in un incidente stradale. Ha solo trentun anni. Forse per uno scherzo del destino (o di chissà chi altri) perde la vita nelle stesse circostanze che ha descritto in una sua canzone degli esordi: “Quel giorno Renzo uscì, / andò lungo quella strada, / quando un auto veloce lo investì.”

La ballata di Renzo, macabra filastrocca di un moribondo che, proprio come Gaetano, nessun ospedale può ricoverare. “S’andò al San Camillo / e lì non lo vollero per l’orario, s’andò al San Giovanni / e lì non lo accettarono per lo sciopero, s’andò al Policlinico / ma lo respinsero perché mancava il vice capo”. Per lui non c’è posto nemmeno al cimitero. Rino avrebbe certamente saputo cogliere l’ironia di queste (troppe) coincidenze.

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